Come agiscono gli apparati di manipolazione mediatica israeliani

La disinformazione del Memri

di Sherif El Se baie
Nel clima di tensione del post 11 Settembre, chi traduce i discorsi dall'arabo, le prediche degli imam o i comizi di Ahmadinejad, ha un'importante responsabilità, perché può influenzare l'umore dell'opinione pubblica occidentale e predisporla allo scontro. E allora perché affidarsi a un'agenzia con sede a Washington fondata da un ex agente dei servizi segreti israeliani?

Nell'incandescente e frenetico clima mediatico del dopo 11 settembre, segnato, tra l'altro, dagli attentati di Londra e Madrid e dalle guerre in Iraq e Afghanistan, nasce e si acuisce l'interesse del mondo occidentale per il mondo arabo e più in generale per il mondo islamico.

Tale interesse si scontra, però, con la carenza di giornalisti occidentali esperti del settore, con la scarsa reperibilità di fonti di prima mano e con la barriera linguistica. Pochi sono, infatti, i giornalisti che si sono occupati specificatamente di Medio Oriente prima di quella data, e ancora più rari sono coloro che parlano la lingua araba, persiana o turca e che quindi sono in grado di rintracciare, tradurre e commentare le notizie provenienti dal Medio Oriente. In effetti, eccettuate le due famose reti satellitari di Aljazeera e Alarabiya, che si sono lanciate internazionalmente – anche in lingua inglese nel primo caso – solo sull'onda dell'11 settembre, la limitata distribuzione dei giornali arabi in Occidente ha costretto chiunque fosse interessato ad analizzare i media arabi – ammesso che ne capisse la lingua, ovviamente – a servirsi di internet. Ma nel 2001 erano ancora pochi i giornali presenti sul web e nessuno di questi era in versione pdf quindi quasi sempre gli articoli erano organizzati per indici tematici. In questo modo si perdeva l'impaginazione che rappresenta uno strumento essenziale per capire l'importanza che viene data alla notizia, le scelte informative del giornale e la carica emotiva trasmessa al lettore. Questa situazione ha costretto e/o permesso a molti giornalisti occidentali – fra cui redattori di quotidiani, conduttori di trasmissioni televisive, ecc – di trasformarsi miracolosamente in esperti di Islam e Medio Oriente, pur non sapendo nulla dei paesi del Medio Oriente, della loro cultura o della loro lingua.

Per riuscirci, questi stessi giornalisti si sono trovati costretti a rivolgersi ad un intermediario esterno – gratuito, molto attivo e facilmente accessibile – per le traduzioni: il Memri, acronimo che indica il Middle East Media Research Institute (Istituto di Ricerca Mediatica del Medio Oriente) con base a Washington e uffici di recente apertura (2002) a Londra, Berlino, Tokyo e Gerusalemme.

Il Memri è un'organizzazione che seleziona alcuni degli articoli più “rappresentativi” presenti nella stampa araba, persiana o turca e li traduce in diverse lingue (Inglese, Italiano, Spagnolo, Francese, Tedesco, Giapponese ed Ebraico). Le traduzioni vengono inviate settimanalmente e gratuitamente tramite posta elettronica o via fax ai propri iscritti. Prima dell'11 settembre generalmente il Memri riusciva ad ottenere da 10 a 20 iscrizioni al giorno, dopo questa data – secondo Steven Stalinsky, direttore generale del Memri di Washington – si è arrivati fino a 50 iscrizioni al giorno. Brian Whitaker, giornalista di The Guardian , spiega in maniera molto semplice il meccanismo che porta i giornali a riprendere le segnalazioni lanciate dal Memri: “È da un po' di tempo che ricevo piccoli regali da un generoso istituto sito negli Stati Uniti. Questi consistono in traduzioni di alta qualità di articoli provenienti da testate arabe che l'istituto mi manda tramite mail ogni 2 o 3 giorni, gratuitamente. Queste e-mail vanno anche a politici e studiosi, come a molti altri giornalisti. Solitamente le storie in esse contenuti sono interessanti. Ogni qualvolta io ricevo una mail dall'istituto in questione, diversi miei colleghi del Guardian ne ricevono una uguale e ne inoltrano una copia a me – qualche volta con una nota allegata che mi suggerisce di verificare la storia e scriverci su. Se la nota allegata mi arriva da un collega più anziano, rimango con la sensazione che dovrei veramente scriverci qualcosa a riguardo”. Withaker ha preso a cuore il suggerimento di verificare la storia, andando ben oltre le aspettative dei colleghi, e cioè indagando proprio sull'Istituto che realizza le traduzioni. A lui si deve praticamente la prima denuncia “occidentale” sul conto dell'Istituto.

L'obiettivo dichiarato del Memri è quello di lanciare “Un ponte tra Occidente e Medioriente, attraverso le traduzioni dei media arabi, ebraici e farsi, e mediante analisi originali delle tendenze politiche, ideologiche, intellettuali, sociali, culturali e religiose della regione”. Esso dispone di un sito principale all'indirizzo www.memri.org , diviso in varie sezioni: alcuni sono progetti di studio come quello su jihad e terrorismo che il Memri ha avviato per monitorare i gruppi militanti islamici, oppure raccolte di documenti con temi specifici: le riforme nel mondo arabo e musulmano; il conflitto arabo-israeliano; fino al progetto di documentazione sull'antisemitismo arabo. C'è inoltre un fornitissimo archivio che parte dal 1998, data di fondazione del sito, che è diviso anch'esso in sezioni: inchieste e analisi (prodotte dal Memri), servizi speciali (traduzioni degli articoli della stampa araba), rapporti speciali (approfondimenti sulle questioni mediorientali), e le edizioni straordinarie. L'Istituto si avvale inoltre del sito www.memritv.org riservato al progetto di monitoraggio tv che copre le principali reti televisive arabe e iraniane occupandosi della sottotitolazione e della distribuzione di brevi estratti, attentamente selezionati, di quelle televisioni e di un blog – aggiornato quotidianamente con brevi estratti dei media mediorientali – all'indirizzo www. thememriblog.org. Un tale impegno necessita, sicuramente, di un numero elevato di traduttori e osservatori a tempo pieno (anche se la direzione dichiara di avvalersi di soli 17 membri).

Sorge quindi spontanea la domanda: come si finanzia il Memri? L'Istituto si presenta come “un'organizzazione indipendente, al di fuori delle parti, senza fini di lucro” e proprio per questo motivo i suoi lavori sono sostenuti dai contribuenti americani, in particolare la Lynde e Henry Bradley Foundation, una delle più importanti fondazioni della destra americana. Come organizzazione “indipendente, non di parte, no-profit”, esso infatti possiede una posizione fiscalmente defalcabile per le leggi americane. Ma il Memri è veramente “un'organizzazione indipendente, al di sopra delle parti”? L'Istituto è stato fondato a Washington nel 1998 dal colonnello Yigal Carmon, che ha trascorso ben 22 anni della sua vita (1968-1988) nell'intelligence israeliana. Parla l'arabo, ed è stato consigliere per l'antiterrorismo di due primi ministri, Itzhak Shamir e Itzhak Rabin, e per questo conta su solide basi sia in Israele che negli Stati Uniti. È associato a Meyrav Wurmser, ex funzionaria del Memri, che dirige il dipartimento Medioriente presso l'Hudson Institute, organismo vicino ai neocon americani. All'epoca in cui il Memri è stato costituito, delle sei persone menzionate sul sito (e in seguito cancellate), ben tre – Aaron Mannes, Yotam Feldner e Aluma Solnick – erano ex funzionari dei servizi israeliani. Tra le altre tre, una ha prestato servizio presso i corpi di artiglieria militare del Comando Nord, una ha un trascorso accademico e il terzo è un ex-attore comico. Un'ulteriore dato supporta i sospetti di imparzialità: non solo la co-fondatrice, Meyrav Wurmser, è autrice di un documento accademico intitolato “Potrà Israele sopravvivere al post Sionismo?” ma addirittura si leggeva nel sito questa dichiarazione: “Nelle ricerche l'istituto enfatizza anche la continuità del Sionismo nel popolo ebraico e nello stato di Israele”. Ma anche questa frase è stata eliminata dal sito il 5 novembre 2001. Proprio per questo motivo, molti autori considerano il Memri alla stregua di un'arma di propaganda al servizio di Israele e della destra israeliana, dedita alla denigrazione degli avversari arabi. E dal momento che Israele si è già distinta nella manipolazione dei dati riguardanti gli avversari, la considerazione è più che legittima. Basta ricordare come l'esercito israeliano manipolò la traduzione dei documenti sequestrati nel blitz alla sede dell'Autorità palestinese per dimostrare quanto Arafat fosse coinvolto nelle attività terroristiche e nell'uso del denaro Ue per finanziare il terrorismo.

Come denuncia Robert Fisk nel suo ultimo saggio Cronache Mediorientali , i documenti dimostravano in realtà fino a che punto Arafat avesse perduto il controllo delle organizzazioni di guerriglia sorte tra i palestinesi in Cisgiordania. Gli israeliani, invece, “li pubblicarono in traduzioni e sintesi deliberatamente fuorvianti e, in un caso almeno, falsificate. I giornalisti ripresero fedelmente la versione israeliana dei documenti ma quando The Independent li sottopose ad una traduzione accurata divenne evidente che gli israeliani avevano presentato un'interpretazione fraudolenta del loro contenuto”. In una nota, Fisk ricorda come la “traduzione” israeliana di un documento palestinese sul caso di Mahmoud Frei, un diciassettenne che aveva preparato una bomba per un carro armato israeliano a Gaza, affermasse che era stato protetto dall'autorità palestinese mentre in realtà l'originale arabo affermava chiaramente che l'Autorità Palestinese aveva impedito l'esplosione tagliando i cavi del detonatore, prima di convincere Frei a unirsi agli uomini di Arafat.

Che le armi propagandistiche fossero essenziali nel conflitto arabo-israeliano è un dato di fatto. Non a caso Ibrahim Hopper del Consiglio per le Relazioni Arabo-Americane denunciò la politica del Memri in un'intervista al Washington Post affermando che “L'intento del Memri è ricercare le peggiori dichiarazioni possibili del mondo musulmano e renderle di pubblico dominio il più largamente possibile”. Dal momento che molti mezzi di informazione e addirittura governi danno credito al Memri, questo ovviamente ne influenza pesantemente le scelte politiche. In effetti, mentre per coloro che leggono regolarmente i giornali arabi dovrebbe essere ovvio che i concetti posti in evidenza dal Memri non sono rappresentativi della stampa araba, coloro che invece non leggono i giornali arabi, e sono molti anche fra politici e opinionisti, potrebbero pensare che queste tesi estremiste non siano solo indicative dell'opinione pubblica araba, ma addirittura degli stessi governi arabi. Nel 2004, per esempio, il Memri riesce a sfruttare le “sortite infelici” della televisione di Hezbollah, Al Manar, al fine di metterla al bando in Francia, suscitando le proteste dell'associazione Reporters sans frontières. Il Memri inoltre ha partecipato attivamente alla campagna che ha portato alla chiusura del centro Cheikh Zayed negli Emirati Arabi Uniti, accusato di dar voce a conferenzieri antiamericani e antisemiti.

Ma a destare sospetto non è solo l'intrigante staff che ha dato vita al Memri, seguendo pedissequamente un'agenda politica a favore dello stato di Israele, o il fatto che oggi non fornisca nessun nome da contattare o recapito fisico a cui fare riferimento, con la scusa che “non vogliono ritrovarsi attentatori suicidi passeggiare davanti la loro porta il lunedì mattina” ( Washington Times , 10 giugno), una precauzione del tutto eccessiva, come sottolinea tra l'altro Whitaker, “per un istituto che vuole semplicemente abbattere le barriere di linguaggio est-ovest”. A destare veramente preoccupazione, invece, è il fatto che gli articoli selezionati riportino l'immagine degli arabi sempre in modo negativo. E che questo sia reso possibile non solo recuperando eventuali ed autentiche esternazioni fondamentaliste pubblicate o diffuse dai media arabi, o “semplicemente” decontestualizzandone altre ben più innocenti, ma addirittura manipolando deliberatamente le traduzioni. A tal proposito il Memri si è distinto per la violenta campagna condotta contro la visita dello sceicco Al-Qardawi a Londra. I servizi del comune di Londra scoprirono solo in seguito che le proteste erano state originate da informazioni provenienti da “un'organizzazione di nome Memri”. Era il giugno 2004 e, per scrupolo di coscienza, il sindaco di Londra Ken Livingstone

commissionò uno studio al termine del quale ha concluso che l'offensiva si inseriva, “con ogni evidenza, in un'ondata di islamofobia che mirava a impedire un dialogo tra musulmani progressisti e l'Occidente”. Lo studio commissionato dal Comune di Londra sulle “140 opere scritte dal dottor Al Qardawi” produceva infatti risultati scioccanti.

Gli analisti conclusero che si trattava “di una evidente manipolazione degli scritti” dello studioso musulmano, di “scoperte menzogne” e che “travisa sistematicamente i fatti, non soltanto quello che dice il dottor Al Qardawi, ma anche quello che dicono molti altri esperti musulmani. Nella maggior parte dei casi, si tratta di una deformazione totale”. Basterebbe menzionare i seguenti “casi” per rendersi conto del livello di affidabilità del Memri: il prof. Halim Barakat, della Georgetown University, denunciò per esempio la sostituzione della parola “Sionismo” nella traduzione dei suoi articoli apparsi su Al- Hayat con “Ebraismo” per dare l'impressione che fosse antisemita. Ma denunciò anche la manomissione del titolo dell'articolo da lui pubblicato sul quotidiano londinese Al-Hayat con il titolo “Questo mostro creato dal sionismo: l'autodistruzione”, presentato invece dal Memri con un titolo che incitava all'odio: “Gli ebrei hanno perso la loro umanità”. Secondo gli “esperti” del Memri, inoltre, Abdel Karim Abu Al-Nasr – un giornalista libanese ben noto – è saudita, per il semplice fatto che scrive su un giornale saudita. Un altro esempio delle manipolazioni a cui si presta il Memri è segnalato con dovizia di particolari da un lettore di origine araba sul forum “Noi e gli Altri”, moderato da Magdi Allam, Vicedirettore ad Personam del Corriere della Sera sul sito dello stesso quotidiano. Rivolgendosi ad Allam, il lettore lo invita “a guardare la prima parte (di un video, ndr), dove intorno al quinto minuto vi è un pezzo della tv saudita Almajd, in cui un barbuto imam parla a una platea di giovani, mi dica lei se onestamente ci vede qualcosa di grave. Il presentatore americano riporta la cosa come dimostrazione della gioia araba (per gli attentati dell'11 settembre, ndr), e sottolinea che il pubblico ride (…). L'Imam narra che il giorno prima degli attentati era a NY con un suo amico, che gli chiese se gli andava di visitare le Twin Towers note per la loro bellezza. Loro andarono e rimasero meravigliati da tanta maestosità e lodarono Allah per tanta bellezza, e poi racconta come il giorno dopo mentre erano a casa sentono degli attentati, e in sintesi dice all'amico “Barakatak ya doctor”, che viene tradotto in “Well done, doctor” (“Ben fatto, Dottore”, ndr) quando casomai significa “Gli hai proprio portato bene Dottore!” come dire sei stato tu (a provocare l'attentato, ndr) con tutte le tue lodi alla loro bellezza (in gergo popolare, “non è che porti sfiga?”). E a questo punto il pubblico in studio ride. (…) Se poi ci aggiungiamo i suoi “Subhan Allah” ricorrenti, che vengono tradotti in “Allah be praised” (Allah sia lodato, ndr), quanto lei sa meglio di me che nel linguaggio arabo sono ricorrenti, specie per le persone religiose, come modo di esclamazione e meraviglia... Ora io le chiedo Dott. Allam di dire qualcosa a proposito. Mi appello alla sua onestà intellettuale. Non trova vergognoso che una normale battuta, infelice sì, ma pur sempre una battuta, venga riportata in maniera totalmente diversa al singolo occidentale, come si trattasse di una lode degli attacchi?” Ovviamente Allam non ha risposto al quesito, cosi come ha completamente ignorato la richiesta di un'altra lettrice che gli chiedeva “la sua opinione sul Memri, il quale per me rimane una delle fonti migliori di informazione sui Media arabi/islamici ed offre un servizio tremendamente importante per un occidente che si fa prendere in giro giornalmente da affermazioni fatte da personalità arabe/islamiche in inglese, che contraddice il veleno quotidiano che emettono di continuo in arabo” . Tale indifferenza non è affatto casuale, considerato che lo stesso Allam – pur conoscendo benissimo la lingua araba – sia uno dei giornalisti che attingono a piene mani dalle segnalazioni del Memri. In un suo editoriale, pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera del 13 giugno 2006 e intitolato “Ebrei assassini. Sito islamico educa i bimbi all'odio”, Allam non ha fatto altro che riproporre, praticamente in maniera identica e come se si trattasse di un scoop eccezionale, una segnalazione del Memri risalente a due mesi prima. L'unica nota “locale” era il collegamento fatto tra i quiz e i videogiochi antiebraici presenti nelle pagine di un sito web arabo dedicato ai bambini, al movimento dei Fratelli Musulmani nel suo insieme, quindi all'Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche (UCOII) in Italia. Una ricerca pubblicata su Le Monde Diplomatique afferma che “l'efficacia del Memri consiste nel coordinamento molto stretto delle sue attività con i responsabili delle campagne di propaganda sul campo. Le liste dei giornalisti arabi che loda o denigra costituiscono un sistema di sanzioni e di ricompense”. Interessante notare come Allam abbia ritirato il 21 maggio del 2006 un premio di 250mila dollari circa dalla Fondazione Dan David di Tel Aviv. La ricerca pubblicata da Le Monde Diplomatique afferma anche che “Il Memri tende a presentare come maggioritarie alcune correnti di idee fortemente minoritarie nella stampa e nei media arabi. E così, il lettore che non parla l'arabo e che si accontentasse della lettura di queste traduzioni avrebbe l'impressione che i media arabi siano dominati da un gruppo di autori fanatici, antioccidentali, antiamericani e violentemente antisemiti, contro i quali si batterebbero pochi valorosi giornalisti, che il Memri definisce “liberali o progressisti”. Il profilo del giornalista “liberale” e “progressista” – guardo caso perfettamente aderente anche a Magdi Allam – è tracciato su Le Monde Diplomatique , e si impernia essenzialmente sul “perorare l'accettazione dei rapporti di forze esistenti, e quindi il dominio straniero; mostrarsi favorevoli ai progetti americani in Medioriente; incitare gli arabi a fare autocritica e a liberarsi della mentalità del complotto”, a cui ovviamente, si ascrive anche la diffidenza nei confronti del Memri. In effetti, invitato a partecipare a una trasmissione di Al Jazeera, il colonnello Yigal Carmon ha replicato ai suoi accusatori dicendo che il Memri persegue un obiettivo scientifico, quello di trasmettere all'Occidente la lettura che i media arabi danno degli avvenimenti in Medioriente. Peccato che sia una lettura del tutto falsa.

Brian Whitaker del Guardian lo sottopose ad una pesante inchiesta giornalistica con conseguente scambio di email: la posizione assunta da Carmon non cambiò, mentre uno stuolo di sostenitori si è prodigato e si adopera tuttora a difendere la credibilità del Memri, contando sul fatto che ad attaccarla sono essenzialmente autori arabi (che tra l'altro parlano benissimo sia l'inglese che l'arabo) ma che, per definizione, sarebbero “complottisti”, specie quando “l'avversario” è americano o israeliano.

Ben lontano dallo scopo di eliminare le diffidenze tra arabi ed Occidentali, il linguaggio si rivela quindi una barriera che si perpetua e che può anzi essere facilmente utilizzato – come fa il Memri – per creare ulteriori incomprensioni. L'augurio è che i media italiani, che spesso si affidano alle “segnalazioni” del Memri, se ne rendano conto in tempo per non contribuire alla diffusione delle manipolazioni cui è sottoposta l'opinione del mondo arabo.

* dal nr. 2 della rivista aideM

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