Abbiamo deciso di dedicare a Vittorio Arrigoni la serata teatrale di lunedì 2 maggio a Roma in memoria dei giornalisti uccisi per mafia e terrorismo perché Vittorio appartiene a pieno titolo alla lista d'onore delle vittime che vogliamo ricordare. Vittorio non aveva il tesserino di giornalista, non aveva una formazione giornalistica, ma faceva - anche - il giornalista, oltre all'attivista umanitario. Come altro qualificare la sua attività che lo portava a scrivere articoli per il Manifesto in cui raccontava ciò che accadeva intorno a lui? E i suoi post sul blog? Il giornalismo di cronaca richiede di stare in mezzo ai fatti, come il lavoro dell’arbitro di calcio richiede di stare in campo e correre dietro al pallone, anche se è stancante e si rischia di prendere qualche calcio. Ci vuole qualcuno sul posto, qualcuno che veda con i propri occhi ciò che succede e lo riferisca agli altri. Ciò permette agli altri di sapere ciò che accade. Quando il tizio che sta in mezzo ai fatti ha riferito ciò che vede, chiunque, da casa, dalla scrivania in redazione, o da dietro una telecamera in studio, può parlare di quel fatto come se lo avesse visto con i suoi occhi. Vittorio faceva questo. Stava a Gaza in mezzo ai fatti e ci prestava i suoi occhi, e raccontando ciò che vedeva permetteva a molti altri di partecipare a quegli avvenimenti, di farsene un'idea. Faceva informazione. Vittorio non aveva la formazione pratica e accademica del giornalista. Non aveva neppure l'inquadramento e lo status del giornalista. Era un autodidatta e un precario, come lo furono altri giornalisti italiani che uccisi per il loro lavoro, perché si avvicinavano troppo ai fatti che volevano raccontare. Vittime che ricorderemo collettivamente lunedì sera 2 maggio alle 21 alla Biblioteca Nazionale di Roma in viale Castro Pretorio con un recital teatrale Alcuni di loro erano precari come Vittorio Arrigoni. Come lui, raccoglievano notizie rischiose in luoghi rischiosi. Si spingevano dove i giornalisti affermati non andavano. Con tutto ciò, non erano considerati giornalisti. Lo sono stati solo dopo la morte. E’ il caso di Peppino Impastato, di Giovanni Spampinato, di Mauro Rostagno, e dell’ultimo della nostra lista, Enzo Baldoni, rapito e ucciso in Iraq nel 2004. C’è voluto tempo prima di dire che erano giornalisti, e anche bravi. Non è giusto, ma non c’è da stupirsi. Lo stesso disconoscimento e' riservato oggi a molti giornalisti precari, anche a quelli che subiscono minacce e rappresaglie mentre raccolgono notizie sui fronti più esposti. Sono centinaia in Italia questi giornalisti invisibili. Si dubita che esistano veramente ed è raro che si parli di loro. Quando noi di Ossigeno raccontiamo le loro storie, con nome, cognome, luogo e indirizzo e costringiamo qualcuno ad ammettere la loro esistenza, il commento più frequente è di questo tipo: "ma quello è un precario!", oppure "ma è un blogger!". Lo dicono come se dicessero: ma è di un'altra specie! Dobbiamo sforzarci di riconoscere chi è della nostra stessa specie anche se non veste come noi, anche se guadagna poco, anche se fa una vita più scomoda della nostra. E’ il caso di dire, come diceva Vittorio Arrigoni, "Restiamo umani". E’ necessario anche per essere buoni giornalisti. * consigliere della FNSI, direttore di Ossigeno per l'Informazione |