Oriente ed Occidente arcaico.

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Nell’immaginazione dell’occidentale la filosofia greca, intesa come “razionalità” per antonomasia, è in totale antitesi all’immagine dell’ “arabo dalla religiosità quasi superstiziosa”.
Abbiamo scoperto che sono proprio loro, gli arabi, ad averci regalto l’immensa cultura greca: la maggior parte della documentazione che oggi possediamo sulla filosofia greca è stata in realtà preservata dagli arabi senza i quali oggi non avremmo più nulla dell' immensa mole di scritti dell'antica Grecia.
Abbiamo chiesto a Matarazzo, laureato in Filosofia e giornalista free lance, di parlarci del rapporto tra Oriente, in senso lato, e filosofia greca: ecco il suo personale pensiero.

Oriente ed Occidente arcaico.

di Massimiliano Matarazzo
Se corriamo indietro nei secoli, non ci è difficile vedere quanto i rapporti tra Oriente ed Occidente siano sempre stati frizzanti e vivi: spesso, più come due popoli confinanti che si scambiano e confondono nei loro costumi e credenze, che non come razze sconosciute divise da confini invisibili che cercano di tenere queste due realtà separate e inconciliabili come nemici agguerriti.
La lontananza tra i due continenti, è vero, è reale, ma tutt’al più è il caso di dire, che questa difficoltà logistica sarebbe dovuta essere lampante più in antichità che non oggi.
Strane e ottuse questioni a volte alzavano barriere ancora più stolte.
Fino al secolo addietro ad esempio, la stragrande maggioranza dei critici occidentali di storia e di storia della filosofia davano per appurato che la sapienza Greca, tanto quella Arcaica quanto a maggior ragione quella Classica, si fosse sviluppata autonomamente come fosse un’oasi in un deserto culturale, come un lampo di luce sfavillante e prescelto in un panorama di ignoranza e desolazione…
…quanto questi siano pensieri vaghi e supposizioni culturalmente egocentriche lo capite da voi. È bene allora supportare ancora una volta la tesi opposta ed aiutare, per quanto possibile in questa sede, a chiarire come le cose non stiano del tutto così.
Due tesi opposte infatti, ancora oggi, si combattono a suon di trattati e saggi sulla questione, controbattendo da un ateneo all’altro, passando da una cattedra all’altra. Si vede perciò, da un lato la negazione di ogni dipendenza della filosofia greca dalle culture afro-asiatiche, vuoi egizia, vuoi fenicia, vuoi cananea, o araba che sia; e dall’altro lato invece, si vedono non poche affinità con tutte quelle concezioni teologiche, quelle conoscenze “scientifiche” e quelle interazioni commerciali che non avrebbero potuto lasciare indifferenti due popoli estremamente vicini, che interagivano attivamente con sistemi ben più “invasivi” e “intrusivi” delle nostre interazioni e comunicazioni mediatiche. Tali aspetti lasciano credere gli studiosi ad una sorta di osmosi culturale tra culture limitrofe e non rigidamente distinte.
Per non dilungarsi troppo sulle prove da fornire a vantaggio di quest’ultima tesi, basti pensare a quanto poteva essere ben più complicato e quanto tempo in più, in realtà, durava uno scambio commerciale al tempo se paragonato ad uno stesso scambio nei giorni nostri. Se non vogliamo pensare già solamente a quanto oggi sia più sicuro lo scambio commerciale in se stesso (se con una telefonata si è avvertiti dell’arrivo preciso della nave che trasporta le merci, a differenze dello stupore, della paura, della diffidenza che la gente del luogo poteva provare nel vedere arrivare marinai sconosciuti e vestiti in tutt’altro modo, vederli arrivare da un mare solitamente temuto,) allora basterebbe pensare effettivamente a quanto tempo questa ipotetica nave sarebbe dovuta rimanere ormeggiata con tutto il suo equipaggio all’interno di un porto straniero prima di aver venduto tutta la merce, rifornito di scorte la nave e così avere la possibilità di ripartire e tornare in dietro.
Cosa pensate potessero mai fare per mesi e mesi, in un Paese straniero, decine di marinai lontani da casa?
Né più e né meno quello che i soldati Romani facevano fondando nuove città-accampamento nella loro avanzata militare che durava decenni; né più e né meno quello che molti dei nostri nonni hanno provato a fare durante gli inizi del secolo emigrando in altri Paesi: raccontare storie, le loro storie, quelle sulle loro credenze e i loro dèi, cercare mogli, spesso e volentieri far nascere figli, raccontare i pensieri strampalati dei loro pensatori, parlare di economia e di politica. Insomma né più e né meno quello che per pochi fuggevoli giorni cerchiamo di fare anche noi oggi, quando andiamo frettolosamente in quei viaggi-vacanza scrupolosamente ben organizzati.
Dunque torniamo in dietro al tema principale.
Se ovvi sono i motivi di contatto tra queste “lontane popolazioni vicine”, un po’ meno facilmente si possono immaginare invece i motivi di quelle divergenze culturali e di quelle differenze macroscopiche che oggi, più di allora, ci fanno separare così nettamente i popoli dell’oriente da quelli dell’occidente.
Trovare una divisione netta non è difficile, nonostante così si rischi di banalizzare teorie e tesi che hanno trovato e trovano alle loro spalle quantità notevoli di studi più che rigorosi. Ma comunque sia, alcune cose possiamo permetterci ugualmente di affermarle.
Parlare infatti di Oriente, tra i Greci dell’antica Grecia, voleva dire soprattutto una cosa: il Satrapo.
Quando si pensava all’Oriente in Grecia infatti, la vera differenza a cui si pensava era quella che vedeva nell’Oriente una terra governata da un Gran Re, che faceva dipendere il suo potere da una gerarchia di altri più piccoli re, i satrapi per l’appunto, i quali avevano in mano perciò tutto il potere arbitrariamente ed ai quali tutto era rivolto nella gestione economica e politica dello Stato. I satrapi erano scelti preferibilmente tra i membri della famiglia reale o fra i nobili. Si occupavano del reclutamento militare, erano responsabili della riscossione delle imposte e dell'amministrazione della giustizia. Venivano controllati sì dai funzionari reali, dipendenti direttamente dal re, ma il fatto di essere inviati una volta all'anno nelle province, ne faceva sostanzialmente dei piccoli imperatori. La gestione militare tuttavia, era sottratta ai satrapi e rimaneva affidata a generali di fiducia del re per tutelarlo ulteriormente.
A dispetto di un panorama del genere, il Greco si sentiva uomo libero. Il più libero.
In Grecia esistevano esclusivamente Città-Stato con un massimo di 10.000 abitanti per una città veramente enorme, in cui il cittadino, soprattutto se benestante o commerciante, si sentiva assolutamente rappresentato, anche se alle più importanti cariche arrivavano solamente gli Aristoi, i Migliori, che non erano né più e né meno che i nobili per gli Orientali.
Quello che però bisogna pensare è che in quelle che all’epoca erano riconosciute come importanti Città-Stato, quali Micene, Corinto e via discorrendo, che oggi possiamo benissimo paragonare per grandezza a paesini dell’entroterra siculo, lì, ogni cittadino, ogni uomo che l’abitava era conosciuto, era riconosciuto ed era utile, serviva alla società ed era importante in guerra quando imbracciava le armi, ed ancor di più lo era ogni suo pensiero che poteva diventare un ottimo pensiero… ai fini politici, ai fini militari, ai fini filosofici, ai fini culturali…
Questa era la libertà di cui godeva un Greco, e ed era questa che lo faceva sentire fortunato e rappresentato.
Bisogna dirlo: era soprattutto in questo caso che il Greco, l’Occidentale, si metteva a paragone di vicine e ben più scomode realtà. Perché le realtà che aveva intorno a sé a quel tempo, erano le realtà che non temeva di definire “Barbare”.
In realtà, uno squarcio di tale situazione portava con sè indubbiamente, mille altre conseguenze e ripercussioni.
Se, come abbiamo già detto, in Oriente ogni “questione” era sotto gli occhi del Gran Re, è importante sottolineare come tutto ciò che assumeva l’aspetto di qualcosa di importante diventasse ben presto da lui controllato o, comunque sia, sotto l’ ombra di un suo lontano “dominio”.
Si pensi alla scrittura (e in questo concetto sta un punto ancor più fondamentale e profondo della differenza tra Oriente ed Occidente), quella che era nata come forma di calcolo, proprio tra i popoli orientali quando ancora in Italia ci si tiravano pietre e bastoni ululando alla luna. Essa venne ben presto “monopolizzata”, dapprima dai sacerdoti che avevano bisogno di registrare tutte le offerte che gli pervenivano nei templi e dunque le ricchezze immense di cui disponevano, e subito dopo “fatta propria” dai Gran Re che non avevano intenzione di trascurare un così efficace mezzo di conto e di organizzazione per quel che riguardava l’amministrazione di uno Stato enorme e di un’economia da sfruttare anche solo con il pagamento delle tasse.
La scrittura infatti in nacque in Oriente ma rimase a discrezione assoluta dei sacerdoti, nei Palazzi dei già ricchi e agiati scribi e veniva utilizzata solamente per servire il Gran Re.
in primo luogo grazie ai conti sui mercati e le riserve delle merci, secondariamente con tutto ciò che sembrava riguardare comunque lo Stato… i calcoli per le piene dei fiumi e dunque le orbite della luna e dei pianeti, perciò le volontà degli dei e tutte le loro vicende e le loro storie, e non ultime le stelle lontane per scoprire fertilità latenti ed eclissi future.
Quello che in Grecia era diverso invece era proprio questo: la scrittura arrivò naturalmente con il beneficio del ritardo vista l’arretratezza economica a cui erano ancora sottoposti i popoli del Mediterraneo quando già in Africa e Medio Oriente i mercati erano prolifici, fu proprio la scrittura stessa a diffondersi in maniera più libera tra i cittadini.
Questo soprattutto e a causa di un’organizzazione statale differente, semplicemente meno centralizzata e monopolizzatrice, anche nei casi di tirannidi all’interno delle città.
Non c’era un vero potere catalizzatore, estremamente forte e duraturo nelle mani di una sola persona o figura, da dover controllare il diffondersi della scrittura che risultava altrimenti pericolosa se libera nelle mani del popolo in vista di un lunghissimo periodo di governo. Questo divenne perciò un mezzo libero che addirittura aiutava generalmente la Città-Stato, più che metterla in pericolo.
In fondo in fondo, era per lo stesso motivo per cui un cittadino libero doveva andare alla guerra, che aveva, e per molto tempo avrebbe avuto, la possibilità di parola in assemblea nella Città-Stato.
Quando la scrittura perciò cominciò a diffondersi tra giuristi, e subito dopo tra poeti e filosofi, la circolazione di idee e di idee critiche, quelle che che nascevano dall’uso del libero pensiero, hanno portato necessariamente ad un irrigidimento delle posizioni in generale libertarie dei cittadini, finendo così per diventare quelle scomode realtà critiche che ancora oggi muovono migliaia di cittadini a levare ancora il braccio verso l’alto e dire “io non sono d’accordo” nella maniera più civile e libera possibile.
Questo concetto e dato di fatto, che differenziava così fortemente queste due realtà estremamente vicine, non toglie, comunque sia, il discorso e la ragione dal fatto che tutti i materiali di origine religiosa, mitologica, medica, “scientifica”, cosmogonica e cosmologica che troviamo espressi su territorio Greco, subiscono nel loro progetto razionale di spiegazione della realtà e del mondo circostante la loro netta fortissima influenza del mondo Orientale, che prima di loro ne aveva già fatto dottrina, e che non poteva allora non influenzare in maniera forte e decisiva una cultura alla quale rimangono i tratti di una autonoma, prestigiosa e potente originalità.


Massimiliano Matarazzo

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