"Kepel in breve" di Wasim Dahmash

Gilles Kepel, professore presso l'Istituto di studi politici a Parigi, non e' certo solo autore della Introduzione. L'essenziale di al-Qaeda, che apre il volume al-Qaeda. I testi (Bari, Laterza, 2006). e' soprattutto coordinatore e ispiratore del gruppo di ricercatori presentati, nel libro, come 'contributori' (p. 327): Omar Saghi, Thomas Hegghammer, Stephane Lacroix e Jean-Pierre Milelli. Quest'ultimo e' anche traduttore e curatore delle quattro parti che formano il volume. Ciascuna di queste, per molti versi autonome, e' introdotta da un saggio con cui i quattro studiosi presentano il percorso ideologico e di vita degli autori dei materiali oggetto delle loro rispettive ricerche.

La parte piu significativa ai fini delle nostre considerazioni e', 'Abdallah 'Azzam, l'imam del << jihad >> (pp. 85-175), curata da Thomas Hegghammer. A differenza di quanto avviene nelle altre tre parti, i testi qui inclusi provengono tutti da fonti scritte, diffuse in internet. Non e' il fatto che i documenti siano stati selezionati sulla base di questo tipo di trasmissione, e cioe' che siano scritti, a spingerci a sottolineare l'interesse di questa sezione. Ma se e' un dato che questa caratteristica, in se, non costituisce prova di autenticita', a maggior ragione dobbiamo considerare che la diffusione attraverso internet implichi un mondo occulto, dove operano trafficanti di ogni tipo, dove tutto e' virtuale, e nello stesso tempo possibile, dove e' difficile distinguere il vero dal falso e impossibile stabilire se un discorso, tutto o in parte, sia autentico.

Prendiamo i testi di 'Azzam, esemplificativi di un pensiero politico che, per quanto aberrante possa essere, si presenta come coerente, a differenza del testo attribuito ad Abu Mus'ab al-Zarqawi (pp. 301-326). Dai testi di 'Azzam si desume che l'autore abbia una conoscenza sicura delle fonti storiche e del diritto islamico, e riesca a interpretarle, o se si vuole, a manipolarle, per legittimare l'operato dei guerriglieri che combattevano contro i sovietici in Afghanistan. Piu che le informazioni su 'Azzam, anche queste raccolte in internet, e' proprio dai testi che si evince che siamo di fronte a un ideologo, un teorico del jihad, inteso oggi nella veste di propagatore del terrorismo internazionale. Afferma Hegghammer: 'Non si possono trascurare gli scritti di 'Azzam. I suoi due libri piu famosi, La difesa dei territori musulmani e Raggiungi la carovana!, (...), sono sempre considerati classici della letteratura jihadista.' (p. 87).

'Azzam 'occupa un posto centrale nella storia dell'islamismo radicale, in quanto fu il principale teorico, la figura ispiratrice, l'organizzatore e il coordinatore della partecipazione araba alla guerra in Afghanistan negli anni Ottanta.' ( p. 87). Hegghammer ci racconta il percorso di vita di 'Azzam fornendo dati oggettivi: nato il Palestina nel 1941 e morto in un attentato a Peshawar in Pakistan nel 1989, 'Azzam compie gli studi universitari a Damasco dove si laurea in diritto musulmano nel 1963. Va poi a insegnare nelle scuole giordane. Ma e' alla scelta dei termini che affida il compito di eludere le cause e i problemi a monte: 'Presto 'Abdallah si ritrovo' coinvolto in prima persona dall'occupazione israeliana e dal conflitto arabo-israeliano. (...) Poco dopo la guerra del giugno 1967 e l'occupazione della Cisgiordania da parte di Israele, 'Abdallah emigro' [corsivo nostro] con la famiglia in Giordania. Come numerosi palestinesi che arrivarono, essi si installarono nel campo profughi di al-Rusayfa ad al-Zarqa, una citta' popolata in particolare da immigrati [corsivo nostro]'. Che si tratti di migranti, profughi o deportati, all'autore non importa, esula dal suo tema, anche se gli storici dovrebbero sempre tener presente che la scelta di un termine piuttosto che un altro e' indicativa dell'approccio con cui si affrontano le complesse questioni relative al Medio Oriente. Lo studioso pero' non tralascia di sottolineare gli argomenti cari alla propaganda sionista. Scrive Hegghammer presentando un autore citato da 'Azzam: 'Albani faceva della lettura letterale del hadith una base fondamentale dei giudizi religiosi. Quest'approccio condusse a decisioni originali, come quella per cui i musulmani dovessero lasciare i territori occupati da Israele. ' (nota 22, pp. 112-113). L'uso del termine 'decisione', dove ci si aspetterebbe 'opinione', cambia il senso della frase. Non e' una questione di traduzione. Qui e' Hegghammer che si esprime in prima persona.

Un altro esempio: l'interpretazione che Hegghammer da' del termine kafir. Scrive: 'Il termine infedele (kâfir, plur. Kuffâr) designa innanzitutto i non musulmani, ma puo' anche designare un musulmano considerato ateo o apostata. Si parlera' allora di infedele originario (kâfir aslî) per designare piu specificamente i non musulmani. Il termine ha la stessa radice di takfîr, la pratica che consiste nel dichiarare che un musulmano e' infedele'. (p. 122). Ma chiunque si avvicini allo studio dell'islam sa che non esiste una categoria denominata 'i non musulmani'. Con il termine kâfir si indica invece l'ateo, colui che non crede nell'esistenza di Dio, una idea che e' comune alle religioni semitiche, ovvero l'ebraismo, il cristianesimo e l'islam. Il politeista e' designato con il termine mushrik. Ebrei e Cristiani sono considerati ahl al-kitâb 'gente del libro', ossia 'fedeli', alla stregua dei musulmani. L'espressione kâfir aslî appare quindi del tutto fantasiosa.

In modo simile, l'espressione 'infedele' nel commento di Stephan Lacroix al testo di al-Zawahiri tratto da La mietitura amara. Sessant'anni dei fratelli musulmani, e' spiegata così: 'In arabo <<Kuffâr asliyyîn>> significa <<infedeli originali>> (cristiani ed ebrei specialmente). Zawahiri distingue tra gli apostati, musulmani che sono scesi a patti con i nemici dell'islam, sui quali scaglia l'anatema di Sayyid Qutb, e <<gli infedeli originali>> che, paradossalmente, vengono solamente in seconda posizione nella gerarchia dei nemici.' (nota 61, p. 206). Il termine Takfîr e' usato con lo stesso significato sia da Hegghammer, sia da Lacroix. Il termine, che nel mondo islamico e' usato soprattutto per 'pentimento', puo' significare 'scomunica', ma non ha il senso che gli da' la chiesa cattolica dato che non esiste un'entita' religiosa preposta a decretare la 'scomunica'. e' piu vicino invece al senso di 'accusa', ma Hegghammer e Lacroix lo usano piu volte nel senso di 'scomunica', così come quando si traduce il nome del gruppo terroristico egiziano al-takfîr wa l-hijra con 'Scomunica ed esilio' (pp. 202, 203, ecc.).

A volte sembra che i commenti dei curatori tendano a pilotare la lettura nella direzione che accredita le tesi piu ricorrenti sul 'terrorismo islamico'. In un passaggio del brano tratto da Costumi e giurisprudenza del <<jihad>>, 'Azzam scrive: 'e' vietato uccidere quelli che non combattono' (p. 151). Hegghammer commenta: 'Da qui i cavilli dei movimenti jihadisti per giustificare gli attacchi ai civili, come per esempio quando li dichiarano comunque impegnati in guerra in quanto, essendo in democrazia, sono responsabili di ogni decisione governativa.' (nota 20, p. 151).

Hegghammer nel presentare l'autore dei testi da lui scelti afferma che tra il 1971 e il 1973, 'Azzam si trovava al Cairo dove conseguì il dottorato in diritto islamico all'universita' al-Azhar. Tra il 1973 e 1980 insegno' all'universita' di Amman. 'A meta' degli anni Ottanta, 'Azzam divento' professore all'universita' del re Sa'ud a Gedda, probabilmente grazie alle sue relazioni con i Fratelli Musulmani.' (p. 96). Si trattava di un percorso del tutto abituale in Medio Oriente dato che, a partire dagli anni Cinquanta, si ebbe una massiccia migrazione di tecnici e intellettuali verso i paesi produttori di petrolio dove i salari sono nettamente piu alti. Nel caso dell'Arabia saudita degli anni Ottanta molti elementi indicano che il paese sia stato scelto come base operativa per generare e gestire un flusso di uomini e denaro destinato ad alimentare la guerra in Afghanistan. Lo studioso informa: 'Una fonte afferma che 'Azzam e la sua famiglia vivevano a Gedda in un appartamento affittato da Bin Laden.' (p. 97). e' risaputo che i paesi produttori di petrolio offrivano particolari agevolazioni, tra cui una comoda abitazione, ai tecnici e agli esperti stranieri. Se 'Azzam lavorava all'Universita' di Gedda aveva certamente una casa messa a disposizione dall'universita'.

Il passaggio piu importante nella vita di 'Azzam e' la sua partenza per il Pakistan. 'Chiese allora al rettore della sua universita' di andare ad insegnare nella nuova universita' internazionale islamica di Islamabad, finanziata dall'universita' del re 'Abd al-'Aziz. Nel 1981, probabilmente alla fine dell'anno universitario, 'Azzam partì per Islamabad.' (p. 98). Qualche anno dopo lascio' l'universita' e si trasferì a Peshawar 'vicino alla frontiera afgana, dove poteva coordinare l'afflusso crescente di volontari.' (p. 99). Il 'flusso crescente', pero', non doveva essere tanto consistente poiche due anni dopo: 'Alla fine del 1983 era chiaro che 'Azzam era frustrato dall'assenza di risultati. Il numero dei volontari arabi era trascurabile, erano forse tra i 10 e i 20 uomini.' (p. 98) A Peshawar fonda 'con l'ultimo arrivato, Osama bin Laden (…) un'organizzazione chiamata l'Ufficio dei servizi (…) il cui scopo principale era di facilitare l'arrivo dei volontari arabi e di coordinare la ripartizione delle reclute sui diversi campi di battaglia, campi di addestramento o attivita' di sostegno al jihad in Afghanistan.' (p. 99).

Sembra che 'Azzam, definito l'ideologo dell'organizzazione terroristica, abbia fatto il medesimo percorso dei giovani arabi che venivano attratti in Pakistan con borse di studio, reclutati dai servizi segreti pakistani, per conto della CIA, e mandati a combattere i sovietici in Afghanistan. ''Azzam si trovava in una posizione unica per sollecitare un sostegno politico e finanziario da parte di un gran numero di organizzazioni islamiche, come la Lega islamica mondiale [controllata dal governo saudita]. 'Azzam godeva anche del sostegno di ulema sauditi di primo piano, come quello del governo saudita, che divento' uno dei principali finanziatori e reclutatore per Peshawar. (…) 'Azzam creo' anche dei rami internazionali dell'Ufficio dei servizi, in particolare negli Stati Uniti. Viaggio' molto. Girava per raccogliere fondi (…) tra 1985 e il 1989, 'Azzam e il suo assistente (…) visitarono decine di citta' americane…' (p. 102).

Altre informazioni ci aiutano a capire come sia stato generato, fatto crescere e utilizzato il fenomeno del terrorismo internazionale. Si possono ricavare dalle annotazioni che Hegghammer fa ai testi di 'Azzam. Alla nota 20 in calce al testo dal titolo La base solida, si legge: 'In questo testo pubblicato nella primavera del 1988, poco meno di un anno prima della ritirata dell'esercito rosso dall'Afghanistan (15 febbraio 1989), 'Azzam esprime la sua inquietudine tanto davanti al <<recupero>> del jihad da parte degli Stati Uniti, che l'avevano finanziato ed equipaggiato, quanto davanti al disinteresse del mondo islamico …' (p. 169). D'altra parte 'il conflitto in Afghanistan alla fine degli anni Ottanta fu l'arena di un massiccio impegno internazionale, e si potrebbe sostenere che l'impegno delle risorse militari e finanziarie investite sembri sproporzionato al valore strategico dell'Afghanistan ben piu importante, comunque, rispetto ad altri conflitti per procura della guerra fredda.' (p. 104)


Di tutt'altro tenore e' la parte curata da Jean-Pierre Milelli, relativa a Abu Mus'ab al-Zarqawi, dal titolo Abu Mus'ab al-Zarqawi, il <<jihad>> in <<Mesopotamia>> (pp. 301-326). L'autore qui presentato e' un semianalfabeta, ci informa il curatore: 'Privo di un'educazione secondaria o religiosa, Zarqawi e' un jihadista <<che ha fatto la gavetta>>, la cui ascesa nel variegato ambiente degli islamisti radicali e' stata folgorante ed inattesa.' (p. 292). Si potrebbe dire che il personaggio in questione e' stato 'lanciato' come nuova star dei media. Milelli ci informa: 'Il 5 febbraio 2003, il segretario di Stato americano Colin Powell pronuncio' un discorso davanti al Consiglio delle Nazioni Unite, in cui dichiaro': <<L'Iraq ospita oggi una micidiale rete terroristica diretta da Abu Mus'ab al-Zarqawi, socio e collaboratore di Osama bin Laden>>. Quali che siano le riserve che si possono avere sui motivi di questa dichiarazione, si tratta del primo riconoscimento dell'importanza della rete di Zarqawi al quale, del resto, l'intervento americano avrebbe aperto una nuova strada.' (pp. 294-5).

Il testo, Lettera a Bin Laden e al-Zawahiri, e' relativo a una missiva di Zarqawi a Bin Laden e Zawahiri, in cui il primo offre ai secondi i suoi servizi.

La stranezza dell'uso di espressioni coniate dagli esperti americani a fini militari in un testo come questo lascia perplessi. Melilli non manca di sottolineare quest'anomalia. Dove, per esempio, nel testo di Zarqawi ricorre l'espressione 'triangolo sannita' (sic!), il curatore commenta: 'Una manifestazione della molteplicita', talvolta contraddittoria, delle fonti da cui i jihadisti attingono le notizie. Qui, l'autore utilizza una formula creata dai media all'indomani dell'invasione dell'Iraq. All'epoca di Saddam, questo <<triangolo>> esisteva gia', in quanto entita' territoriale caratterizzata da un comportamento particolare verso il potere, in questo caso contrario a cio' che accade oggi.' (nota 12, p. 303). L'espressione, tradotta in arabo e abitualmente adoperata, continua ancora oggi a essere incomprensibile per l'ascoltatore, contrariamente ad altre espressioni tradotte dall'inglese ormai entrate nell'uso, come 'fondamentalismo', 'integralismo', 'fanatismo', ecc.

Il curatore non tralascia di segnalare usi di linguaggi, che presuppone estranei al tipo di discorso attribuito ai 'jihadisti'. Scrive Melilli: 'L'utilizzo di un tale vocabolario, molto ricorrente nell'ambiente marxista arabo, e' un altro esempio dell'aspetto autodidatta della cultura di questi ambienti jihadisti. La loro capacita' di assimilare formule mediatiche o di movimenti intellettuali estranei e volgerli a loro favore si trova piu volte nel loro discorso, e permette loro di essere piu vicini ad un pubblico che divide con loro la stessa formazione eteroclita.' (nota 69, p. 314).

L'uso di una frase attribuita ad Ali nel testo di Zarqawi e' così commentato: 'Frase attribuita al quarto califfo, 'Ali ibn Abi Talib (600-661) che classificava l'umanita' in tre categorie: i maestri spirituali, i loro discepoli e la canaglia incolta. Esempio di uso ironico della parola della figura sacra dello sciismo, 'Ali, da parte di un accanito avversario degli sciiti.' (nota 66, p. 314). E ancora a commento di frasi che nel testo si riferiscono al regime di Saddam Hussein: 'Altro esempio, piu affascinante ancora, di contatti e spostamenti intellettuali. Quest'analisi abbastanza lucida del sistema di Saddam, riprende certamente il libro di Kanaan Makkya (sotto lo pseudonimo di Samir Khalil), Irak, la machine infernale, Paris, J.-C. Latte's, 1991, in cui l'autore procede ad un'analisi del totalitarismo iracheno degli anni Ottanta, ispirandosi alle teorie di Hanna Arendt sull'atomizzazione della societa' come mezzo di dominio. L'autore di questo libro e' oggi molto vicino agli ambienti neo-conservatori americani.' (nota 78, p. 316). A noi sembra che anche l'autore del testo di Zarqawi sia 'molto vicino agli ambienti neo-conservatori americani'. Non troviamo infatti altra spiegazione all'uso di espressioni del linguaggio propagandistico americano, come ad esempio l'espressione 'le forze della coalizione', che ricorre nel testo di Zarqawi, a p. 318. e' mai possibile che chi combatte le truppe americane le chiami 'forze della coalizione' piuttosto che 'forze nemiche', 'forze d'invasione', 'forze di occupazione' o qualcosa di simile?

In questo senso e' indicativo anche l'uso di vocaboli tipici del linguaggio coloniale, completamente estranei all'arabo, come il termine 'locali' (p. 317) per indicare gli abitanti autoctoni. Nessun 'indigeno' non ammaestrato presenterebbe mai se stesso col termine 'indigeno'!


Le altre due parti del volume sono invece dedicate a bin Laden e ad al-Zawahiri.

La parte dedicata a Zawahiri (pp. 172-286), Ayman al-Zawahiri, il veterano del <<jihad>> e curata da Ste'phane Lacroix, e' quella che presenta piu varieta' di testi. e' introdotta da un saggio che ricostruisce la vita del famoso terrorista. Scrive Lacroix: 'L'importanza di al-Zawahiri deriva dalla fondazione, poco dopo, con Osama bin Laden, della joint-venture Qa'idat al-Jihad. Zawahiri ne diventa l'ideologo ed il cervello: e' considerato il vero ideatore degli attentati dell'11 settembre negli Stati Uniti.' (p. 174).

I testi di Zawahiri presentati sono dello stesso tono di quelli di bin Laden: farneticanti dichiarazioni di guerra contro il mondo. Osserviamo che Lacoix, nei suoi commenti, e' piu stringato dei colleghi. Il linguaggio che adopera e' pero' simile a quello degli altri 'contributori', ossia, e' rispettoso della versione ufficiale americana. Per fare un esempio: l'intervento americano nella Penisola Arabica e' seguito a una 'preferenza' del governo saudita per una 'coalizione internazionale diretta dagli Stati Uniti' (p. 182). O questo: 'l'amministrazione americana risponde bombardando i campi di addestramento della rete di Bin Laden in Afghanistan, e per errore colpisce una fabbrica di prodotti farmaceutici a Khartum, in Sudan.' (p. 187).

Omar Saghi invece introduce la prima parte intitolata: Osama bin Laden, l'icona di un tribuno (pp. 3-84).

Nella trattazione degli anni della formazione di Bin Laden autore dei testi presentati, Saghi scrive: 'Le gesta di Osama bin Laden, da lui stesso riscritte accuratamente, fanno dell'avventura afghana la rivelazione di un eccezionale destino di redentore. Senza essere completamente falsa, questa autobiografia adattata cancella le modeste ma significative attivita' precedenti di Bin Laden...' (p. 9).

L'autore del saggio introduttivo ci da' un quadro sociologico da cui risulta che figure come quella di Bin Laden sono tutt'altro che rare nella societa' saudiana, poiche la formazione di bin Laden e' comune a tutta una generazione: 'La generazione di Osama bin Laden, figlia dei fondatori politici o materiali del regno, ricevera' il regalo avvelenato di un'educazione puritana e di una prosperita' che la fara' inevitabilmente sradicare dal suo paese. Questa dimensione generazionale, ancor piu delle idiosincrasie familiari o psicologiche particolari di Osama, spiega la facilita' con la quale egli diventera' in seguito un'icona per molti giovani sauditi...' (p. 8).

Questo tratto generazionale, ci spiega lo studioso, emerge chiaramente quando nel 1979, anno dell'intervento sovietico in Afghanistan: 'nel santuario della Mecca era stata fatta una spettacolare presa d'ostaggi. Osama e i protagonisti di quest'azione (che si conclude tragicamente) erano coetanei. Si tratto' di un'altra espressione degli effetti nocivi che il boom petrolifero e la modernizzazione corrosiva stavano producendo in questa generazione'. (p. 10).

L'osservazione: 'Osama e i protagonisti di quest'azione (che si conclude tragicamente) erano coetanei' sembra suggerire che ci fosse un legame particolare tra i terroristi che compirono l'attacco al santuario della Mecca e le decine o forse centinaia di migliaia di arabi 'sauditi' nati nel 1957, una specie di 'predestinazione'. Infatti ben presto, Bin Laden, ci dice l'autore del saggio, e' personaggio gia' noto all'eta' di 26 anni: 'dal 1983 alla fine del decennio diventa un personaggio pubblico, adulato e rispettato. All'epoca quest'equazione piace a tutti: i sauditi preferiscono dare il loro denaro ad uno di loro piuttosto che ai servizi pakistani' (p. 10).

e' probabile che sia stato effettivamente questo il pensiero che ha spinto chi si occupava di reclutare guerriglieri per combattere i sovietici in Afghanista a reclutare Bin Laden. Qui Saghi fornisce un'informazione importante: i servizi segreti pakistani cercano finanziamenti e volontari o mercenari per combattere i sovietici in Afghanistan. Per conto di chi? Non e' esplicitamente detto, ma 'La strategia americana per l'Afghanistan, stabilita da Zbigniew Brzezinsky ed altri consiglieri della presidenza Carter, e' di sfibrare l'Urss infilandola nel pantano afghano, ma senza assestare il colpo decisivo che la spingerebbe a partire; lo scopo, infatti, e' di prolungare la guerra. Per gli americani non si tratta tanto di liberare l'Afghanistan quanto di rendere l'occupazione un affare costoso per i sovietici.' (p. 11).

Facendo un paragone tra l'Iraq dopo la guerra contro l'Iran e l'Afghanistan dopo la guerra contro i sovietici, Saghi commenta: 'A posteriori, le crisi [le guerre americane?]che esplosero dopo l'11 settembre possono essere viste come conseguenze mai sanate delle due guerre degli anni Ottanta: Iran-Iraq e Afghanistan. Questo legame esiste almeno tra Bin Laden e Saddam Husseyn, entrambi reduci delusi, portabandiera dell'Occidente nell'ultima fase della guerra fredda' (nota 3, p. 11). Una lettura che ci permette di capire come mai gli Stati Uniti non vollero 'assestare il colpo decisivo' ai sovietici in Afghanistan e non permisero a nessuno dei contendenti di uscire vincitore dalla guerra contro l'Iran. Ci sembra precisa la descrizione di Bin Laden e Saddam Husayn come 'portabandiera dell'Occidente nell'ultima fase della guerra fredda'.

L'analisi della societa' saudita che Saghi compie nel suo saggio introduttivo, a volte lo porta a toccare altri temi: 'mentre larga parte del mondo e' obbligata a liberalizzarsi politicamente, i regimi della regione devono inventare nuovi mezzi per giustificare un autoritarismo sempre piu anacronistico. Questo sfasamento rispetto alle dinamiche mondiali, impedisce una soluzione del problema palestinese...' (p. 17). Non si capisce davvero che cosa c'entri la 'liberalizzazione' dei 'regimi della regione' con la soluzione del problema palestinese. L'autore sa benissimo che il 'problema palestinese' e' stato inventato non per essere risolto, ma come mezzo per il controllo del Vicino Oriente e delle risorse petrolifere da parte della potenza egemone del sistema capitalistico, l'Inghilterra ieri, gli Stati Uniti oggi. Come se la mancata liberalizzazione dei regimi nel Vicino Oriente fosse la causa dell'immigrazione sionista prima ed ebraica dopo in Palestina, la causa delle ondate di pulizia etnica scatenata a piu riprese da Israele, o la causa della politica israeliana degli insediamenti, delle punizioni collettive, della demolizione delle case, degli omicidi mirati, della creazione di milizie collaborazioniste, ecc.

Il discorso di Saghi si sposta sul piano simbolico. Sotto il titolo 'la grammatica di al-Qaeda', l'autore offre un'analisi audace del simbolismo dei gesti del gruppo terroristico: 'Si fa uso della metonimia: una sinagoga per disegnare alla fine Israele; della sineddoche: le rivendicazioni si fanno nel nome dell'islam; del simbolo: un americano ucciso rappresenta gli Stati Uniti. Questo funzionamento e' appropriato ai media, che lo confezionano in tempo reale in messaggio amplificato su scala mondiale.' (P. 20). Piuttosto che un gruppuscolo di maniaci pazzoidi che si nasconde nelle grotte di inaccessibili montagne centro-asiatiche, sembrano dei raffinati esperti di messaggi pubblicitari nell'era della globalizzazione, riuniti in comodi studi in qualche grattacielo di New York.

Si tratta quindi di un uso sapiente dei media 'in cui il mondo arabo nel suo insieme funziona come una plebe che sostiene, davanti al senato occidentale, il suo tribuno collettivo, i martiri e la sua causa pretesto inattaccabile, la Palestina' (p. 24). Questo uso così sapiente dei mezzi d'informazione porta lo studioso alla conclusione: 'Per lottare efficacemente contro il movimento di Bin Laden bisognerebbe risolvere i problemi del Medio Oriente o spegnere la televisione –soluzioni tanto improbabili quanto costose per la democrazia americana' (pp. 27-28). Ma, aggiugiamo noi, non sarebbe forse piu utile, al fine di sconfiggere il 'movimento', tentare un'analisi di ordine storico-politico che aiuti a individuare i mandanti del gruppo terroristico?

Pare di no. L'autore ci rimanda invece a una dotta analisi morfologico-lessicografica: 'Qa'ida in arabo significa la base e la norma. I due termini hanno un insieme di legami semantici evidenti. Questo equivoco e' carico di senso: questa base di militanza, creata sulla scia della guerra in Afghanistan, vuole essere (e forse così e' stata concepita fin dall'origine) anche il principale luogo normativo del mondo musulmano contemporaneo, che mira a ristabilire la Norma dimenticata. Le Raccomandazioni tattiche di Bin Laden, dettate in due parti, costituiscono un tipo di che fare islamista, per fondare l'azione del movimento su una visione strutturata del mondo.' (P. 26)

Che dire. Le parole di Saghi attribuiscono alla figura del famoso terrorista una dimensione che va al di la' dell'immagine dell'invasato che trascorre la vita nelle grotte e lo trasforma in un teorico raffinato con solide conoscenze storiche e filosofiche. Poco probabile.

Il saggio di O. Saghi introduce otto testi di Bin Laden. In nessuno dei testi raccolti dallo studioso c'e' qualcosa su cui valga la pena di soffermarsi. Si tratta di discorsi gia' diffusi da tutte le televisioni del mondo. Il valore del lavoro invece e' dato dal saggio introduttivo e dall'apparato di note che corredano i testi. Il personaggio di Bin Laden e' ben inquadrato in una lettura che conferma appieno quello che e' universalmente noto: un fanatico sanguinario. Tuttavia, nelle intenzioni dello studioso, 'i testi qui tradotti tentano di stabilire un diagramma politico e mentale il piu completo possibile di questa militanza a due dimensioni messa in campo dal movimento di Bin Laden: dichiarazioni di circostanza, ricostruzioni storiche o abbozzi di pensieri politici piu teorici, essi restano atti eminentemente mediatici, pieni, come ogni azione che si forma sui nostri schermi, di questa contingenza paradossale dell'evento mediatico, che pretende, pur nella sua evanescenza, di essere piu vicina alla verita' atemporale della societa' dello spettacolo.' (p. 28).

Qualche appunto sul genere scelto per questo volume: le note ai testi implicano la volonta' di imprimere al lavoro una scientificita' che lo renda piu attendibile, in modo cioe che al discorso vengano impressi significati ben piu profondi di quanto appaiono a prima vista.

Esempio: in La tana dei compagni, dove il testo recita: 'Poi Dio ci gratifico' ... incitandoci a restare nella regione di Jaji, nonostante fossimo solamente una dozzina di uomini, per lo piu di Medina, la citta' del Profeta...' La nota ci informa che 'Dopo che i Meccani si mostrarono in gran parte insensibili al messaggio del Profeta, e' a Medina, dove era fuggito nel 622, che trovo' numerosi sostenitori. Qui il confronto con la storia profetica e' chiaro poiche i primi convertiti, non all'islam ma al jihad, sono anche – e' il senso di questa frase di Bin Laden – abitanti di Medina, dei Medinesi. Tali racconti mirano a dare una dimensione mitica all'azione intrapresa dai mujahidin in Afghanistan. e' possibile che Bin Laden includa tra i <<Medinesi>> uomini originari d'altri luoghi, del Hegiaz o dei dintorni di Medina, e cio' spiegherebbe perche Bin Laden, che e' incontestabilmente della citta' di Gedda e non di Medina, si presenti come medinese.' (nota 11, p. 31). Lo stesso Bin Laden nella Intervista ad al-Jazira, sostiene di essere nato nel quartiere al-Malazz, della citta' di Riyad e che la famiglia era partita 'per Medina sei mesi dopo la mia nascita ed abbiamo risieduto nel Hegiaz, nelle citta' di Mecca, Gedda e Medina (p. 54). La questione ha una sua importanza perche Saghi presenta ampiamente il quartiere di al-Malazz di Riyad, concludendo: ' Per gli ulema piu radicali d'allora, al-Malazz costituiva un'enclave empia in territorio musulmano. Bin Laden, lasciando al-Malazz per Medina, compì in qualche modo una <<egira>> - l'emigrazione del profeta Muhammad che nel 622 lascio' La Mecca, ancora pagana, per Medina. Questo riferimento puo' essere percepito come parte della costruzione simbolica del personaggio di <<salvatore dell'islam>> intrapresa da Bin Laden.' (nota 2, p. 54) Ci sembra particolarmente importante il 'valore simbolico' attribuito al fatto cha la famiglia Bin Laden abbia risieduto a Medina quando il futuro terrorista aveva sei mesi.

Non si tratta di quisquilie, ma di importanti precisazioni: molti passaggi possono essere ostici e lo studioso li spiega puntualmente in nota. Così quando nel testo tratto dalla Dichiarazione di <<jihad>> contro gli americani che occupano il paese dei due luoghi santi, Bin Laden scrive: 'L'ultima calamita' ad essersi abbattuta sui musulmani e' l'occupazione del paese dei due santuari ...' (p. 39), Saghi in nota spiega: 'Il riferimento e' alla presenza di truppe non musulmane, americane o alleate, in Arabia Saudita in risposta all'appello del re Fahd, il 7 agosto 1990, cinque giorni dopo l'invasione del Kuwait da parte dell'esercito di Saddam Husseyn.' (nota 15, p. 39). Meno male che la buonanima di re Fahd fece quell'appello così che gli americani, oltre il Kuwait poterono liberare anche l'Arabia, il Qatar, gli Emirati, l'Oman e il Bahrayn.

In un altro passaggio, in riferimento alla stessa questione, Bin Laden usa invece l'espressione ''la persistente aggressione' che ricorre nel testo tratto da Intervista ad al-Jazira (p. 57). Saghi spiega: 'L'autore fa riferimento all'arrivo in Arabia Saudita, nell'estate 1990, delle truppe alleate dirette dagli Stati Uniti, venute a proteggere, dietro domanda dell'autorita' saudita, il paese contro un'eventuale invasione irachena.' (nota 22, p. 57). E quando nel testo successivo Dichiarazione del fronte islamico mondiale per la Guerra Santa contro ebrei e crociati, e' ripresa l'argomentazione della presunta occupazione della Penisola Arabica del cui territorio gli americani si servirebbero per la loro 'persistente aggressione contro il popolo iracheno', lo studioso puntualizza: 'La difesa che fa Bin Laden del popolo iracheno, a maggioranza sciita, e' rivelatrice della maniera con cui egli occulta una realta' disturbatrice – gli sciiti – a favore della mobilitazione di un simbolo del mondo arabo – Baghdad, e piu in generale l'Iraq, emblema del califfato e dell'eta' dell'oro musulmana.' (nota 5, p. 48). Non si puo' non concordare con Saghi che ogni discorso e' strumentale, altrimenti non ci sarebbe bisogno di farlo. E ancora: 'Uno dei numerosi rimproveri allora fatti da Bin Laden al regime saudita e' di permettere agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna di servirsi delle basi presenti sul suo territorio per lanciare dei raid nelle zone di non sorvolo dell'Onu in territorio iracheno'. (nota 6, p. 48).Per la precisione aggiungiamo che la cosiddetta 'zona di non volo' fu dichiarata tale dagli Stati Uniti e non dall'Onu. Certo che si tratta di un particolare di poco conto, ma in una ricerca di alto profilo come quella presentata nel volume, appare necessario rilevare anche particolari di questo genere. E per interpretare l'interpretazione, si puo' aggiungere che 'lanciare dei raid nelle zone di non sorvolo dell'Onu in territorio iracheno' significa in parole povere 'bombardare l'Iraq'. Senza dimenticare che dopo il crollo dell'Unione Sovietica, l'uso dell'Onu come fonte legittimante delle attivita' belliche degli Stati Uniti, e' notevolmente cresciuto. E quando Saghi ricostruisce che 'Nel 1982, quando la guerra civile libanese era in pieno svolgimento, Israele lancio' l'operazione <<Pace in Galilea>>; lo Stato ebraico invase il paese e assedio' Beirut, l'anno seguente, 241 marines americani, facenti parte di una forza multinazionale di mantenimento della pace sotto l'egida delle Nazioni Unite, vennero uccisi a Beirut in un attentato-suicida con un camion...' (nota 11, p. 63), sarebbe stato opportuno precisare che si tratto' della presenza di truppe di diversi paesi arrivate a Beirut sull'onda dell'emozione suscitata dai massacri di Sabra e Chatila. Le truppe che agiscono sotto le bandiere dell'Onu sono 'forze internazionali' e non 'multinazionali'. Gli equilibri internazionali cambiarono dopo il crollo dell'Unione Sovietica, e solo dopo le operazioni militari intraprese dagli Stati Uniti hanno trovato legittimazione in successive delibere del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, come nel caso dell'invasione americana della Somalia. Su questo punto vi e' un passaggio nel testo tratto da Raccomandazioni tattiche: '...dopo la seconda guerra del Golfo, l'America ha mandato il suo esercito in Somalia dove 13.000 musulmani furono uccisi ...' (p. 63). Saghi spiega: 'Nel dicembre 1992, una forza multinazionale composta in maggioranza da militari americani sbarco' in Somalia nel quadro dell'operazione <<Restore Hope>> con l'obiettivo di riportare la pace e la stabilita' nel paese in preda ad una sanguinosa guerra civile. Bin Laden fa qui riferimento agli avvenimenti dell'ottobre 1993, quando truppe del generale Muhammad Aydid, verosimilmente aiutato dagli uomini di Bin Laden, riuscirono ad infliggere pesanti perdite al contingente americano: 18 soldati furono uccisi e le televisioni diffusero le immagini di cadaveri con le uniformi dei marines che venivano trascinati per le vie di Mogadiscio. Poco dopo, gli Stati Uniti, traumatizzati, ritirarono le truppe dalla Somalia.' (nota 14, p. 63).

A questo punto sarebbe solo ripetitivo esaminare altre affermazioni su cui varrebbe la pena di soffermarci per il sapiente uso dei termini. Per concludere ne riprendiamo una sola. Si tratta della nota al toponimo 'Guantanamo' che ricorre nel testo: 'Territorio statunitense sull'isola di Cuba, dove sono incarcerati dal 2001 i prigionieri della <<guerra contro il terrore>>.' (nota 31, p. 68).


Wasim Dahmash

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