ROMA (19 febbraio) - Pace, solidarietà e dialogo interreligioso. Sono i tre pilastri sui quali si regge la nuova biennale di calligrafia araba di Doha, capitale della piccola e ricca penisola del Qatar. Regno del petrolio, cuore pulsante della tv satellitare Al-Jazeera, in rampa di lancio aggiudicarsi quote sempre più importanti nel capitale della casa automobilistica Porsche tramite la Qatar Investment Authority (che vanta già partecipazioni internazionali in Barclays, Credit Suisse e molto altro), l’Emirato mediorientale scommette sull’arte e la cultura per un rilancio d’immagine che si sta dimostrando tutt’altro che effimero. Ed è così che, sotto l’impulso illuminato dello sceicco Hamad bin Khalifa Al Thani, e soprattutto della sua moglie preferita, la bellissima Sheikha Mozah bin Nesser, Doha sta per cimentarsi in una delle sfide più alte e delicate per il mondo arabo, quella di una biennale di calligrafia, appunto, dove l’arte del segno alimenta le radici profonde di una cultura tanto antica quanto raffinata.
La kermesse aprirà i battenti il 23 marzo e, per un mese intero, ospiterà rappresentanti di 25 Paesi, esponenti delle più rinomate scuole di calligrafia, Maestri che si confronteranno attraverso le proprie opere (sono all’incirca 100 quelle che hanno superato le selezioni e che saranno esposte al pubblico) e iniziative culturali che animeranno forum, dibattiti, incontri. «Una giusta occasione per celebrare Doha come capitale della cultura araba per il 2010», spiega la mente artistica della manifestazione, Mohammed Alnouri, veterano di un’altra biennale di calligrafia araba di eccezionale importanza nel Golfo, quella di Sharjah. Alnouri è stato scelto proprio per la sua esperienza e la sua conoscenza profonda di un’arte che spazia dal classico al moderno fino all’astratto, in una trasformazione continua di forme, colori, significati, stili che si perdono nella memoria dei tempi, dall’antichissimo cufico ai corsivi più graffianti e provocatori dei giorni nostri. Tutto per selezionare il meglio di questa straordinaria forma d’arte e lanciare all’Occidente un segnale forte: «L’Islam è dialogo, pace, tolleranza», sottolinea Alnouri, «non esprime certo gli estremismi di cui, purtroppo, siamo talvolta anche noi vittime incolpevoli».
Lo testimonieranno, a Doha, artisti di formazione, storia, cultura, tradizioni e ispirazioni diversissime, tutti uniti dalla cultura del calamo. Ci saranno anche due italiani, una chicca su una scena tanto esclusiva. Bibi Trabucchi, romana, si segnala per essere stata la prima non musulmana ad essere invitata alla biennale di Sharjah, nel 2004, e poi a parteciparvi con una personale di oltre 20 opere, nel 2006. Il suo messaggio artistico, volto a realizzare un dialogo concreto e costruttivo, un reale incontro tra culture attraverso la contaminazione degli stili, delle forme e dei segni calligrafici di provenienza geografica e temporale diversa, sull’unico percorso possibile che è quello del dialogo nel rispetto delle differenze, l’ha portata a esporre opere di calligrafia araba in tutto il mondo, dall’Europa alla Malesia, dall’Inner Mongolia alla Pechino Olimpica. Ora si presenta a Doha con tre creazioni che portano impresso il carattere tipico della sua arte, fatto di eleganza e ricercatezza stilistica non solo nelle forme, ma anche nei materiali d’uso, per combinare l’essenza più classica della calligrafia araba con l’utilizzazione (atipica) di rotoli in pergamena e seta, o del timbro rosso che immancabilmente suggella le calligrafie artistiche cinesi.
L’altro italiano che esporrà a Doha è Mahmoud Al Dilaimi. E’ originario dell’Iraq, dove a iniziarlo all’arte del segno come “geometria dell’anima” è stato il fratello maggiore. Già da bambino si addentrava agilmente nelle forme colte del cufico, stile calligrafico antichissimo, rielaborato nei secoli con ricchezza di ornamenti ed eleganza e il cui fascino si conserva intatto nelle opere di Al Dilaimi. Presto, per lui, ci fu l’esilio dal suo Paese. E la nostalgia lacerante che lo ha accompagnato negli anni si è tradotta in un’alternanza di linee morbide e tratti severi, pieni e vuoti, giochi cromatici con i colori originari di Baghdad, mentre le leggi della geometria, della scienza e dell’astrologia emergono e s’intersecano nella sua arte alla continua ricerca di un equilibrio che aspira alla perfezione. Ricorrono nelle sue calligrafie, per quanto ermetiche, le poesie di grande valore spirituale di Mansur al-Hallaj, sufi rivoluzionario e alchimista del verbo, per ricordarci sempre che le radici dell’uomo sono radici universali. Eppure, oggi, Mahmoud Al Dilaimi è cittadino italiano, e rappresenterà il nostro Paese a Doha. Ma la sua storia lo porta inevitabilmente ad andare oltre. Ed è attraverso l’arte sublime della calligrafia che lo fa, per superare gli steccati ideologici, i confini geografici, i muri che dividono e fanno soffrire. Per non appartenere al passato ma nemmeno a questo presente, oltre il suo essere arabo, oltre il suo essere italiano.